
Come nasce la nostra mente? Un viaggio alla scoperta della nascita del conscio e dell’inconscio
Per comprendere come nasce la nostra mente dobbiamo partire dal concepimento. In quegli istanti, come tutti sappiamo, si scatena una vera e propria competizione tra spermatozoi, ma solo uno di essi, salvo casi eccezionali, sarà così fortunato nel fecondare la cellula uovo. È a questo punto che ha inizio uno straordinario processo a cascata che porterà alla formazione dell’embrione, o meglio, alla creazione di una nuova vita.
Sin da subito ciascuno di noi ha un proprio patrimonio genetico. Tale patrimonio influenza in modo sostanziale lo sviluppo individuale ed è alla base del nostro essere unici. Tuttavia, la genetica deve fare i conti con l’ambiente che ci circonda. Per ambiente s’intende tutto ciò che interagisce con noi, dalle relazioni con gli altri agli eventi che ci accadono, dai contesti in cui ci troviamo ai mondi che ci costruiamo. Insomma, nasciamo con una predisposizione genetica, ma poi questa viene modulata ed espressa in modo più o meno consistente in base all’ambiente. Inoltre, tutto questo non accade solamente dopo la nascita, ma anche nel periodo prenatale.
Qualche decennio fa si pensava che sia il feto nel periodo prenatale che il neonato alla nascita, fossero privi di mente. Per questo le cure a loro dedicate erano incentrate solo sul versante biologico, lasciando pensare che la mente fosse correlata allo sviluppo del cervello e quindi presente solo in seguito alla maturazione del sistema nervoso centrale. In realtà, alcuni studi hanno dimostrato che la nascita dello psichismo, ovvero la presenza di un primo rudimentale sviluppo cognitivo, è presente già nel feto. Il feto è infatti dotato di competenze fisiologiche, o meglio di una graduale e sempre più raffinata ricezione, elaborazione e percezione degli stimoli, che gli consente di entrare in contatto con il mondo intra ed extra uterino. Per fare un esempio, i primi movimenti del feto sono osservabili già intorno alla settima settimana di gestazione. E’ da questo momento che il repertorio motorio del piccolo si arricchisce di pattern motori sempre più complessi e intenzionali. Gli stessi che saranno poi funzionali allo sviluppo del bambino e del suo benessere. Sarà infatti la capacità di muoversi che consentirà al futuro nascituro di comunicare con la madre sia stati di disagio che di partecipazione. Così facendo potrà instaurare un processo di condivisione che è alla base della diade madre-bambino.
Allo stesso modo è necessario sottolineare che gli stati emotivi della madre durante la gravidanza sono estremamente importanti per lo sviluppo del feto. Essi, infatti, vengono trasmessi al feto e possono condizionare lo sviluppo del cervello e del suo funzionamento cerebrale. Tutto ciò che ha a che fare con la vita della madre influisce inevitabilmente anche sul bambino, e ne condiziona la traiettoria evolutiva. Non è un caso che alle madri incinte si sconsiglia di assumere alcolici e caffeina, di non fumare, di seguire diete specifiche e un corretto stile di vita (es. bassi livelli di stress). Inoltre, queste considerazioni hanno portato gli studiosi a osservare che il feto, già nei primi mesi, compie elaborazioni dell’ambiente che lo circonda. Intorno al quarto mese di gravidanza esso sente, tocca, si muove, esplora e partecipa in modo attivo alle esperienze emotive della madre, vivendo un costante contatto esperienziale con ciò che lo circonda, sia all’interno della pancia che all’esterno.
Dopo la nascita il neonato sfrutta le rudimentali competenze acquisite prima del parto e le rende sempre più raffinate e complesse. Parallelamente instaura una relazione diadica con i genitori, o con chi si prende cura di lui, ampliando il suo bagaglio di competenze. Questa fase è prettamente preverbale, per cui il bambino immagazzina dentro di sé una serie di memorie che non sono veicolate dal linguaggio, bensì da processi sensoriali ed emotivi. Più semplicemente, se esso sente fame inizierà a piangere e quel comportamento sarà l’espressione di un disagio interiore, sia sensoriale (la fame) sia emotivo (l’esigenza di comunicare un disagio). Questi processi sono fondamentali per una corretta regolazione emotiva, e per lo sviluppo di un’efficace coerenza interiore.
Un concetto molto importante che a questo punto è necessario accennare, è quello d’inconscio. Tutti noi possediamo uno spazio mentale inaccessibile alla coscienza. Questo spazio mentale racchiude molteplici memorie, schemi procedurali e sensomotori, di cui non abbiamo una chiara consapevolezza e che si formano nei primi mesi/anni di vita. Questi schemi sono alla base del nostro modo di vedere il mondo, quasi come fossero un paio di occhiali in grado filtrare le informazioni che provengono dall’esterno. Solo in questo modo diamo coerenza al mondo, a noi stessi, e al modo in cui noi stessi stiamo nel mondo. L’inconscio quindi, sebbene non sia cosciente, influenza costantemente la nostra vita. Tuttavia, questo discorso ci inserisce in un paradosso, oserei dire quasi un vicolo cieco. La nostra mente è composta da una parte conscia e da una parte inconscia. La parte inconscia influenza quella conscia, ma noi siamo consapevoli solo di quest’ultima. Risolvere questo rebus non è possibile, tuttavia è necessario imparare a creare un ponte tra il conscio e l’inconscio. O meglio è importante lavorare per definire una coerenza interna in modo che queste due parti vadano nella stessa direzione, più precisamente che non siano in contrasto. Ma i processi che governano la coscienza sono regolati da regole verbali, e quest’ultime sono costruite a livello sociale. Il linguaggio è quindi un veicolo necessario e fondamentale per la cognizione, e da esso bisogna partire per poter accedere ai processi cognitivi. Questi ultimi sono strettamente legati alle strutture emotive, e l’emotività ha fondamenti rudimentali inconsci.
In definitiva, la nostra mente aumenta la sua complessità nel tempo, ma sono gli elementi primitivi che fungono da base per lo psichismo. Lavorare su di essi è una condizione essenziale per raggiungere una coerenza interna tra stati emotivi e strutture di pensiero.
Dott. Davide Bertelloni
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