
Cosa è la neuroplasticità? Un viaggio tra neurogenesi e apprendimento
La neuroplasticità è la proprietà che consente al cervello di modificare la propria struttura e il proprio funzionamento in risposta all’attività e all’esperienza mentale (Norman Doidge). Per molti secoli la scienza ufficiale ha sostenuto che i circuiti neurali fossero immutabili e che, presenti sin dalla nascita, non si potessero modificare per tutto il corso della vita. Se questo fosse vero però ogni persona avrebbe un cervello non modificabile con l’apprendimento, e con l’invecchiamento esso andrebbe incontro al suo declino senza possibilità di ridurlo o bloccarlo. Negli ultimi decenni, molteplici ricerche, hanno dimostrato la costante mutazione del nostro encefalo tramite processi di neurogenesi (formazione di nuovi neuroni), sinaptogenesi (formazione di nuove sinapsi) e astrocitogenesi (formazione di nuove cellule gliali, in questo caso astrociti). Tali processi sono legati alla nostra capacità di apprendere, quindi il nostro cervello può e deve cambiare.
Il concetto di neuroplasticità venne dimostrato a livello sperimentale grazie al neuroscienziato Eric Kandel, vincitore del Nobel per la medicina nel 2000, il quale scoprì che l’apprendimento può attivare geni in grado di modificare la struttura neurale, definendo quindi la base biochimica dell’apprendimento.
Kandel ricavò questa conclusione studiando il cervello di una lumaca di mare, l’Aplysia, lunga circa 30 centimetri e con “soli” 20.000 neuroni, che per attivare l’azione riflessa di protezione della sua branchia può contare su 24 neuroni sensitivi e 6 neuroni motori. Con questo semplice organo nervoso, l’Aplysia, è in grado di imparare che quando riceve uno stimolo su una certa parte del corpo deve proteggere la branchia ritraendola. Sfruttando questo meccanismo, i neuroscienziati sono riusciti a capire che uno stimolo ripetuto può attivare uno specifico gene che comporta la crescita di nuove connessioni tra il neurone sensoriale e quello motorio (Kandel, 2000).
Questo semplice processo riscontrato nella lumaca di mare, si ripete all’infinito anche nel cervello degli esseri umani fin dalla fase embrionale. Il costante ed inevitabile utilizzo del cervello ne modifica l’architettura, e questa è anche la base delle differenze individuali tra le persone. Dice Kandel: “Dal momento che tutti noi siamo cresciuti in ambienti diversi, siamo stati esposti a differenti combinazioni di stimoli, abbiamo imparato cose diverse, e tendiamo a esercitare le nostre capacità motorie e percettive in modi variabili, l’architettura del nostro cervello ne risulterà modificata in modo unico”.
Alla luce di queste scoperte, è interessante notare come, sebbene il nostro connettoma sia in costante mutazione, tanto che il cervello è un’istante dopo profondamente diverso da sé stesso, la coscienza rimane ben definita ed unitaria. Postulando che la base neurale sia fondamentale per la nostra coscienza, una sua fine modulazione non consente un cambiamento di essa, se non delle proprietà ed elementi quantitativi che essa ci fornisce. Si potrebbe quindi affermare che neurogenesi e sinaptogenesi consentono di affinare i moduli neurali definendo dei circuiti maggiormente specializzati e qualitativamente più efficienti. Noi non abbiamo la percezione della formazione di nuove cellule e connessioni, ma possiamo vedere un’alterazione della neuroplasticità valutando un miglioramento delle funzioni esecutive e delle capacità mnesiche.
Tuttavia, è fondamentale osservare come la coscienza sia profondamente connessa con l’efficienza del sistema neurale, tanto che lesioni in determinate regioni cerebrali, come il tronco encefalico, comportano una perdita di essa. Oppure lesioni in aree frontali definiscono la perdita di specifiche funzioni cerebrali (come linguaggio, memoria di lavoro, inibizione…), così come un’atrofizzazione cerebrale, ovvero una perdita diffusa o circoscritta di neuroni nella corteccia cerebrale, può compromettere l’efficienza dell’intero sistema comportando sintomi riscontrabili nelle demenze.
In conclusione, la neuroplasticità si sposa con i concetti di neurogenesi, sinaptogenesi e astrocitogenesi. Ma, sebbene non possiamo modificare direttamente il nostro mondo neurale è possibile intervenire tramite processi “indiretti”. Quasi come se la nostra meta-coscienza in interazione con l’ambiente potesse agire a livello microcellulare. Nello specifico:
- Arricchimento ambientale: vivere in un ambiente stimolante e arricchito consente la formazione di neuroni a livello ippocampale e sinapsi hebbiane più numerose (Bolijin and Lucassen, 2015)
- Relazioni sociali: gli individui socialmente connessi vivono più a lungo e mostrano una maggiore resistenza verso malattie somatiche, cardiache e cancro
- Attività fisica: se praticata in modo costante e non eccessivo consente di bilanciare gli effetti dello stress, migliorare l’umore, ritardare l’invecchiamento cellulare, ed agisce a pioggia su molteplici aree cerebrali (Shors et al., 2014, Lucassen et al., 2010).
- Mindfulness e meditazione: praticare la meditazione e protocolli Mindfulness consente di agire a più livelli sul sistema immunitario, autonomico, endocrino ed emotivo. Si riscontra infatti una riduzione di ansia e depressione, aggressività, percezione dello stress e di sintomi di patologie stress-correlate. Di contro si osserva un aumento del tono dell’umore, dell’apatia, della consapevolezza, dell’accettazione e dell’attenzione, nonché della soddisfazione della propria vita (Jacobs G. D., 2004, Zaragoza et al., 2017)
Approfondimento: Norman Doidge: Le guarigioni del cervello. Le nuove strade della neuroplasticità: terapie rivoluzionarie che curano il nostro cervello. 9788868333652
Dott. Davide Bertelloni
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